“Foggiattan”, il film mai scritto da Arbore sulla città che non sa di essere bella

Sette veli da (non) scoprire per svelare una città che non sa di essere bella. Una Madonna coperta da sette drappi per non farsi ammirare, non a caso, è il simbolo di Foggia.

Accade il 21 marzo di ogni anno. La Madonna, sempre rigorosamente coperta e mai svelata, incontra foggiani e forestieri durante la processione dell’Iconavetere, il tavolo sacro che la leggenda fondativa della città vuole sia stato ritrovato sul fondo di una palude e annunciato da tre fiammelle sull’acqua.

Da allora – siamo intorno all’anno mille – la città di Foggia e la sua icona è ancora velata. La capitale della Capitanata non si scopre ai visitatori immediatamente. E’ necessario un corteggiamento tra i vicoli del centro storico, senza la fretta di rimettersi in cammino verso le mete da cartolina della Puglia.

Siamo nel cuore del Tavoliere. Immense distese di grano e di vigneti. Foggia si inizia a scoprire così, assaggiando i prodotti della sua terra. Nero di Troia da far respirare in calice molto più di qualche minuto e via, inizia un tour dove non troverete compagni stipati in autobus gran turismo. Qui l’esperienza turistica non è ancora da grandi numeri e non valgono ancora le regole del mordi e fuggi.

Pochi selfie di massa e tanto “pancotto”, la zuppa contadina con pane e le verdure di stagione, da acquistare al mercato Rosati, a pochi metri dalle strade dello shopping dei foggiani.

L’esperienza a tavola è ancora densa di emozioni. Dall’attesa per i piatti che usciranno dalla cucina, fino al racconto della provenienza degli ingredienti dalla terra accanto. Con l’immancabile Nero di Troia, sempre lui, a scandire i tempi del ristoro e del piacere puro.

Al viaggiatore lento, senza il motore acceso con destinazione il vicino Gargano e le spiagge di Vieste e di Peschici, è subito svelato uno trai i tanti tesori nascosto anche ai nativi: il “Cappellone”. Una successione di quattro cappelle barocche sistemate lungo il tratturo che portava nel cuore della città e una chiesa con un suggestivo crocifisso, da cui il nome del complesso monumentale delle Sante Croci.

I veli cadono uno ad uno, durante la immancabile visita alla Cattedrale e alle piccole chiese che troverete durante l’incedere piacevole tra i camminamenti in pietra del centro storico, fino all’Ipogeo, la città di sotto ancora tutta da scavare e da svelare ma in parte visitabile su appuntamento (che otterrete senza problemi in pochi minuti e senza formalità).

Poi la musica. Che avvolge la città con le note dell’”Andrea Chenier”, l’opera più conosciuta del musicista foggiano, Umberto Giordano, a cui è dedicato il Massimo cittadino.

E, a sorpresa, anche il cinema, sognato dal musicista simbolo della “foggitudine”, Renzo Arbore, che prima o poi realizzerà il suo “Manhattan” di Woody Allen. “E’ una vecchia idea che mi ronza per la testa – ha affermato il famoso show-man durante una recente intervista radiofonica – e vorrei dimostrare che Foggia è piena di personaggi come nella pellicola del regista americano. Qui ci sono gli avari, i tirchi, le belle ragazze che ci facevano innamorare nella Villa Comunale e i nostri immancabili cavalli stalloni”. Si chiamerà “Foggiattan”?

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